Non credo che sarei qui a scrivere questo articolo (e nemmeno a giocare tanto ai videogiochi) se non fosse per Hideo Kojima. Eppure penso che l’autore giapponese, come tutti, sia umano e fallibile. Alcuni momenti nei suoi giochi mi hanno fatto pensare a questo, ma il risultato finale tende sempre a colpirmi duramente. Questo è quello che mi è successo in tutti i suoi giochi tranne The Phantom Pain, un titolo che a livello ludico può essere uno dei migliori, ma che in termini narrativi non mi ha convinto troppo. Sapete, quel “Buen videojuego, mal Metal Gear”. Lo dico perché è il modo migliore per spiegare come mi sono sentito nei confronti di Death Stranding 2. Ho trovato il suo primo capitolo una genialata pazzesca, o una genialata pazzesca, comunque la si voglia vedere. Ho trovato il primo capitolo un genio folle o una genialità pazzesca, a seconda di come la si voglia vedere. Ci sono stati momenti stravaganti, ma il suo messaggio e il suo finale mi hanno colpito duramente, mentre scoprivo le basi di questo mondo distopico che ruotava meno intorno alle scelte dell’uomo e più intorno alle scelte della natura di estinzione inevitabile. Eppure, giocando a questo secondo capitolo, non sono riuscito a entrare in sintonia come cinque anni fa, a causa di una storia che ho trovato meno mirata e sorprendente, meno ispirata e più prevedibile. Dove l’istrionismo e la sorpresa per il gusto di sorprendere mi hanno talvolta stancato troppo. Forse potrei dire, non ne sono ancora del tutto sicuro, che per me Death Stranding 2 è un buon videogioco e un cattivo Death Stranding. Solo il tempo ce lo dirà. Per ora, prendiamolo in parti. Un sequel nella forma e nella sostanza Death Stranding 2 è chiaramente un sequel. È, infatti, uno dei più conservativi che abbia visto da tempo. Tutte le animazioni, la struttura e la forma del progetto originale sono presenti. Kojima Productions ha sfruttato tutto il possibile per partire da questa base. Lo si nota soprattutto nella mappa, un design molto più interessante, che questa volta ci porta nel territorio dell’Australia dopo un precedente passaggio in Messico, che forma un percorso con più possibilità in quanto si tratta di un viaggio circolare invece che coast to coast. In questo modo le missioni, e soprattutto le missioni secondarie, sono più varie, perché si possono scegliere i percorsi costeggiando la montagna centrale ed evitando i vari pericoli, umani e di terreno, che essa presenta in tutti i punti cardinali. Non c’è dubbio che questa mappa non sia solo splendida dal punto di vista visivo, ma anche molto varia e si ha la stessa probabilità di trovarsi in montagna come nel deserto, in una foresta o in un cratere. Il team ha fatto in modo che chiunque voglia sfruttarla al massimo e non concentrarsi solo sulla missione principale abbia a disposizione decine di ore per accumulare risorse, fare commissioni, ripristinare strade e monorotaie e collegare tutti i punti secondari della mappa. Il tutto per continuare a ricollegare il mondo, dato che la premessa di questo gioco è, in parte, duplice: Sam Porter Bridges (interpretato da Norman Reedus) riceve la visita di Fragile (Lea Seydoux) per continuare a collegare i continenti, dato che così facendo si crea uno strano portale che permette di viaggiare tra queste grandi lande. Ma Sam avrà anche un’altra motivazione personale, in seguito agli eventi precedenti al suo viaggio in Australia, in cui viene attaccato da un’organizzazione misteriosa e che lo portano a indagare ulteriormente sul passato di BB-28. I famosi meccanismi di incenerimento dei corpi a rischio di craterizzazione sono ancora lì, nascosti da qualche parteCosa c’è di nuovo in termini di gameplay? Kojima dice che non è il combattimento, che è ancora opzionale. Ma la verità è che sembra molto, molto più obbligatorio rispetto al gioco originale. Ci sono missioni completamente pensate per far fuori i nemici e persino i famosi EV, dai quali ora possiamo non solo fuggire, ma anche combattere con tutto il nostro arsenale. La famosa meccanica di incenerimento dei corpi a rischio di craterizzazione è ancora lì, nascosta da qualche parte, ma è più aneddotica che mai. Queste meccaniche più action e stealth sono state molto discusse all’epoca perché nel primo Death Stranding scarseggiavano. In un gioco che parlava di corde che ci uniscono contro bastoni che ci separano, basato sulla filosofia dello scrittore giapponese Kobo Abe, il messaggio di Kojima sembrava chiaro: voglio fare un gioco tripla A in cui non si voglia uccidere. Le cose sono cambiate, come dice il motto stesso di Drawbridge, la formazione Fragile di cui ora fate parte: “palos y cuerdas unidos para proteger y conectar”. Un curioso cambio di direzione, che non so se sia dovuto all’attrazione di Kojima per il genere d’azione, a una visione meno idealistica e più cinica del mondo, o a entrambe le cose. Il fatto è che l’azione ricorda la saga di Metal Gear e, in modo inconfondibile, soprattutto The Phantom Pain. Ma la verità è che li abbiamo già visti nella sua Director’s Cut e ancora più vero è che non si sono evoluti troppo, a dire il vero. Sì, abbiamo molte armi diverse e questo ci aiuta ad affrontare il combattimento in modo più o meno diretto, ma il modo di gestire il combattimento non sembra essersi evoluto dal primo gioco e nemmeno dall’ultimo Metal Gear. Uno scontro molto diretto, che sfrutta a malapena l’ambiente e si affida, come nel gioco Venom, a quei movimenti lenti ogni volta che si elimina un nemico. L’azione ricorda la saga di Metal Gear e, in modo inconfondibile, soprattutto The Phantom Pain e lo stealth? Credo che, pur avendo a disposizione alcuni strumenti per farlo, come le armi silenziate, non ci siano abbastanza abilità per avere un’esperienza profonda, oltre al fatto che la mobilità di Sam non è proprio fatta per questo. Lo stesso stealth di The Phantom Pain, un gioco di 10 anni fa, è ancora molto migliore di questo, non solo per la possibilità di strisciare, appoggiarsi ai muri, nascondersi meglio nell’ambiente, ma per l’alternanza di open world e interni, mentre Death Stranding è ancora un titolo profondamente aperto dove si possono contare sulle dita della mano il numero di volte in cui si avrà un tetto sopra la testa. E senza dubbio gli sarebbe stato bene. In effetti, l’esempio migliore è proprio la Director’s Cut, che includeva alcune nuove missioni come la fabbrica in rovina, e sono rimasto molto sorpreso dal fatto che il team di Kojima abbia deciso di non includere molti ambienti interni in cui queste meccaniche potevano essere sviluppate meglio.Il risultato è che le incursioni silenziose sono estremamente difficili da eseguire con poca copertura e quasi sempre si trasformano in azione. Un peccato perché le possibilità c’erano: creare accessi con scale, corde e tutti gli strumenti di trasporto avrebbe creato forme di infiltrazione uniche, ma vengono sfruttate raramente. Con un po’ di dispiacere per ciò che il lavoro di questo autore ha significato per me nel genere, devo dire che giochi di cinque anni fa come The Last of Us Part 2 sono su un altro livello quando si tratta di azione e stealth. Ricollegarsi La domanda è: che genere è Death Stranding 2? Kojima lo definisce non come un gioco d’azione o stealth, ma come un gioco di trasporto, e anch’io voglio che sia così. È possibile pianificare i percorsi per renderli tali, anche se sarà più difficile che mai schivare le altre parti. Il che mi fa pensare… non sarebbe stato meglio approfondire le meccaniche del trasporto e delle sue missioni? Ad essere onesti, il gioco lo fa. Ci sono nuovi strumenti che possiamo costruire e che sono più folli che mai. Abbiamo ad esempio la monorotaia per trasportare enormi quantità di materiali, miniere per accelerare i processi e modi per rendere i veicoli più efficaci. Ma anche gadget che sono stati incorporati dalla Director’s Cut, come una rampa per aggirare le scogliere, una catapulta per far cadere un carico (o anche voi stessi) e farlo atterrare in sicurezza, e altri ancora più folli come una sorta di tavola da surf a forma di bara per andare velocissimi su qualsiasi superficie. L’aspetto più negativo del gioco è stata la constatazione che i veicoli sono completamente rottiAllo stesso tempo, però, mi sorprende che in un sequel dalla struttura così simile il team di Kojima non abbia optato per missioni secondarie più elaborate, ad esempio. Il primo gioco aveva un sacco di cose da fare da zero e questo è comprensibile, ma qui è già deliberato, ed è un peccato perché la consegna del caricamento punto a punto sarebbe stata gestita meglio con una narrazione di accompagnamento. Per me, tuttavia, ciò che ha rovinato maggiormente il gameplay è stata la constatazione che i veicoli sono completamente rotti. Salire su uno di essi significa andare ovunque in sicurezza, perché sono in grado di superare qualsiasi ostacolo: ricordate la montagna del primo Death Stranding? Eccone un’altra, più ripida, e l’ho scalata tutta in moto senza battere ciglio.Anche senza i potenziamenti dei picchi che si ottengono molto più avanti nell’avventura. Questo ha tolto tutto il divertimento al percorso, che prima era una vera sfida. Nel primo gioco mi succedeva di tutto quando attraversavo un fiume o salivo e scendevo da un’altura. Qui ho trovato tutto molto più facile e a volte ho dovuto forzarmi a non usare i veicoli per rendere le cose più interessanti. La mappa originale era stata progettata con canyon, formazioni rocciose e una fisica più severa che costringeva a parcheggiare il veicolo finché non si costruiva la strada, cosa che qui non accade. E questo è uno degli aspetti che mi ha colpito di questo gioco: la presenza di due livelli. Si può andare direttamente alla storia principale e scalfirne appena la superficie. Oppure ci si può fermare in ogni quadrante e cercare di sfruttarne appieno tutte le possibilità. È qualcosa che il gioco non ti impone e a volte non ti incoraggia nemmeno, devi farlo da solo. E quando ho visto che non tutto funzionava per me, ho fatto così. Mi sono fermato, sono sceso dal veicolo e ho iniziato a camminare. È stato in quei momenti che, a livello ludico, mi sono ricollegato all’esperienza di cinque anni fa che mi ha conquistato. Quando si passa del tempo in viaggio, si collega il percorso della zip-line a paesaggi incredibili, si migliorano alcune strade o si cerca di trasportare molto carico in una volta sola attraverso luoghi poco pratici. Death Stranding è un gioco sul rallentamento. Di perdersi e ritrovarsiKojima dice che si può finire Death Stranding 2 in 30 ore, ma se avessi fatto così non sarei riuscito a godermi tutto ciò che ha da offrire. Ho raggiunto punti secondari in cui ho dovuto pianificare il mio percorso come un puzzle, ho sfruttato la curvatura delle teleferiche per creare percorsi impossibili e mi sono addentrato nei recessi più profondi della mappa per scoprire i boss secondari più difficili del gioco. Questo viaggio attraverso l’Australia ne è valsa la pena, perché, come il primo capitolo, Death Stranding è un gioco da prendere con calma. Di perdersi e ritrovarsi. E c’è un altro incentivo da non prendere alla leggera. Il gioco ha un aspetto straordinario. Alcuni paesaggi mi hanno lasciato davvero a bocca aperta, al punto che ho voluto fermarmi nella zona per fare altre commissioni. L’iperrealismo raggiunto da questo titolo è sorprendente, con alcune superfici rocciose, montuose o desertiche che sono uno spettacolo. E sì, lo era già nel primo gioco, ma quando l’ho confrontato mi sono reso conto che è andato molto oltre. Il tutto con un ciclo giorno e notte che nel gioco precedente mancava a causa della necessità di renderizzare la scena senza illuminazione dinamica. Qui, invece, il tempo è drasticamente variabile. Mi stupisce ancora il modo in cui il terreno cambia, come cambiano le strade già percorse, formando percorsi appiattiti mentre ci si cammina continuamente sopra. E le frane, i terremoti e le valanghe? Ci sono, ma la verità è che non ho avuto molti problemi con loro e, a parte quello che si verifica nell’introduzione, non ho trovato che avessero un grande impatto, almeno nel mio gioco. Anche l’effettiva ricreazione dei personaggi e le loro animazioni sono di un altro livello. In particolare quella dei personaggi principali è davvero sorprendente e in molte occasioni non si pensa più a loro come se fossero modellati in 3D, ma come ad attori, che suppongo sia il vero obiettivo di Kojima. Tutti, inoltre, con un’interpretazione eccellente e un trattamento della luce a seconda della scena che è di prim’ordine. Il gioco è ancora doppiato in spagnolo e questo va accolto con favore, ma mi dispiace, credo che sia un titolo che, se potete, è altamente consigliato giocare con le voci degli attori in inglese. È uno dei grandi successi di Death Stranding, che ha dato al team l’opportunità di mostrare e regalare alcuni dei momenti più surreali, ma spettacolari, che si possano vedere in un videogioco. Il che mi porta a una strana conclusione.E cioè che sì, Death Stranding 2 è un’opera molto personale e, come si dice nel non è per tutti, ma la verità è che si tratta di uno di quei casi in cui, anche se non vi motiva molto, ne vale la pena anche solo per gli aspetti tecnici, per la grafica. E per la musica, naturalmente, che questa volta condivide le partiture tra Woodkid e Ludvig Forssel, recuperando alcuni dei temi più emblematici dell’originale che suonano ancora molto forti, unendosi ad altri anch’essi molto potenti fin dall’inizio e, naturalmente, con le loro musiche licenziate da gruppi nuovi e noti del primo gioco come Low Roar o Silent Poets. avrei dovuto collegarmi? Lo slogan di questo sequel è: avremmo dovuto connetterci, con un’allusione al fatto che il mondo sia migliore o peggiore di fronte alla globalizzazione. Ma io mi pongo la stessa domanda: avrei dovuto collegarmi a questo gioco? E la verità è che se a livello di gameplay, con i ma che gli ho dato, ci sono riuscito, questa volta non ci sono riuscito a livello narrativo come con il primo capitolo, che mi sembrava molto più completo, con più grinta e con un messaggio più chiaro e valido.Death Stranding 2 ripropone la stessa struttura dell’originale attraverso tre aspetti: vuole raccontare la sua trama principale, che di solito contiene un messaggio della visione di Kojima; la trama personale di Sam, che di solito è responsabile di dare un grande impatto emotivo; e quella di un personaggio secondario del passato che è accompagnato da sorprese, come nel primo gioco era la trama di Cliff e le sue rivelazioni. Il problema è che nessuna di queste trame mi è sembrata così speciale come nel primo gioco. Molte sembrano prevedibili e poco ispirate, o addirittura meno rilevanti, ma soprattutto la trama principale mi è sembrata eccessivamente contorta. Il problema non è nuovo ed è uno di quelli che l’autore giapponese affronta sempre: vuole nascondere così tante sorprese in modo che tutto arrivi poi con forza, che a volte si rischia di forzare troppo la macchina. Non è una brutta formula e, infatti, il mio gioco preferito dell’anno, Clair Obscur: Expedition 33 , la utilizza, ma come ho detto nella sua analisi, con questo tipo di struttura si corre il rischio di disconnettere il giocatore. E qui è successo a me. Le rivelazioni sono presentate nel modo peggiore possibile, con un sacco di esposizioni, facendo allusioni a personaggi che nemmeno ricordavo e con un misto di stranezza e istrionismo che ha finito per portarmi fuori dalla fiction. C’è un messaggio, sì, ed è interessante nello stesso modo in cui nel primo c’era l’allegoria di Internet, ma accade tutto così in fretta e con così tanti eccentrici fuochi d’artificio intorno, che non viene recepito. Anche se l’azione è migliorata un po’, gli scontri sono molto simili a quelli del primo gioco, molto spettacolari, ma dal design mediocreQualcosa di simile mi è successo con le altre due trame, più personali, più belle e meglio gestite, ma anche questa non mi ha colpito molto. Il personaggio di Neil Vana, interpretato da Luca Marinelli, è quello che prende il posto del personaggio di Mads Mikkelsen, al punto che tutta la sua struttura è esattamente la stessa. In realtà, sto divagando per dire che, sebbene l’azione sia leggermente migliorata, in generale questi scontri sono molto simili a quelli del primo gioco, molto spettacolari visivamente, ma mediocri in termini di design. Questo è un aspetto condiviso da quasi tutti i boss del gioco, che non sono migliorati come pensavo. La storia di questo personaggio è ok, ma la trovo meno rilevante e meno d’impatto di quella di Cliff e ricade nelle peggiori abitudini di Kojima, con la costruzione di canoni retrò per adattarsi e forzare le cose nei sequel. La storia personale di Sam è senza dubbio la migliore. Inizia in modo interessante e, anche se la maggior parte delle risposte si trova alla fine, è quella che credo vi interesserà di più come giocatori e quella che ha più peso. È quella che mi è piaciuta di più, ma anche con qualche riserva. Soprattutto per quello che ho detto all’inizio, per quanto fosse prevedibile anche prima di aver giocato e, soprattutto, perché l’interpretazione di Sam da parte di Norman Reedus in questo sequel è… complicata. Il suo ruolo è molto più traumatico e depressivo, ma l’attore è così distante dal resto dei personaggi che è difficile costruire un buon arco narrativo. In particolare, il gioco perde molte occasioni per costruire un rapporto tra due personaggi che è fondamentale per la storia e che avrebbe reso il suo finale più efficace. In tutti i miei anni di gioco non sono mai stato infastidito dalle kojimadasE questa è una cosa che succede un po’ con tutti i personaggi secondari: sono personaggi incredibilmente attraenti per il modo in cui sono disegnati, per le loro caratteristiche speciali, ma non sono usati come personaggi. Sono praticamente solo degli scarichi di informazioni che vengono introdotti, raccontano la loro storia e servono a inondare l’utente di dati. Non c’è sviluppo. Non c’è conflitto. E, di conseguenza, non c’è umanità.In tutti i miei anni di gioco non sono mai stato infastidito dalle kojimadas. Le accolgo come stranezze di un autore unico che fa ciò che nessun altro osa fare. Ma riconosco che, in questa occasione, ci sono stati alcuni momenti che non sono stati così equilibrati e hanno finito per rubare la scena. Ci sono state alcune cinematiche molto importanti che ho potuto spiegare solo come un mix tra il monologo soporifero dell’architetto di Matrix e la danza di Alan Wake 2. Attira l’attenzione? Senza dubbio, ma non so quanto possa giovare alla trama. Menzione speciale, tra l’altro, per Higgs, un cattivo che già mi era sembrato il lato più debole del primo gioco e che qui è diventato completamente insopportabile, ma che, al di là della sua personalità, non è mai riuscito a trasmettere la paura, il rispetto, l’incertezza e l’inquietudine di un vero antagonista. Mentre scrivevo questa recensione, ho letto una notizia molto curiosa su Kojima. Diceva che dopo i test il gioco era “demasiado bueno”. Tutti lo adoravano e lui lo vedeva come un aspetto negativo, perché significava che era troppo mainstream, troppo facile da digerire. E allora ha iniziato a cambiare molte delle sue sceneggiature per renderle più polarizzanti, perché vuole che il suo lavoro sia impegnativo e che all’inizio non piaccia. E forse è questo che mi è successo nella narrazione, che questa volta non ho legato tanto come con il primo videogioco. Ma voglio anche dire una cosa: non cambierei una virgola. Dovremmo celebrare il fatto che ci sono autori audaci che esprimono le loro ossessioni e la loro visione del mondo attraverso l’arte e la narrativa. E se io sono stato toccato dal fatto di aver collegato di meno, è molto probabile che ci siano molti altri lettori che, proprio per questo, gradiscono di più. E io sono felice e invidioso in parti uguali. Perché un nuovo gioco di Kojima è una celebrazione, nella sua essenza, di un’industria che non è fatta solo di fanti, cavalli e re. Dopo aver giocato a Death Stranding 2 provo una sensazione agrodolce. Non c’è dubbio che continui a rendere divertente ciò che apparentemente non lo è: trasportare merci da un luogo all’altro in una mappa gigantesca. E a livello tecnico, si tratta di uno spettacolo enorme, con un’ambientazione che invita a esplorare ogni angolo della mappa, che è più varia, più grande e più bella che mai. Il ciclo giorno e notte, il clima mutevole e l’evoluzione del terreno rendono il mondo vivo, mentre la musica continua a essere uno dei punti di forza, con collaborazioni che aggiungono un tocco unico. Pur essendo un’ottima esperienza con le meccaniche in atto, il gioco non è riuscito a realizzare appieno il suo potenzialeHo la sensazione che, nonostante le meccaniche siano una buona esperienza, il gioco non sia riuscito a sfruttare appieno il suo potenziale. La struttura è la stessa dell’originale, ma il nuovo gameplay, pur divertente e folle, non si evolve abbastanza e a volte va contro lo spirito del gioco. I combattimenti e la furtività rimangono piuttosto piatti e i veicoli sono talmente rotti da togliere valore alla sfida del viaggio. Le missioni secondarie sono semplici e non forniscono un incentivo sufficiente ad approfondire. Nel complesso, è innegabile che ho trascorso 45 ore divertendomi a collegare tutti i punti e ad attraversare un ambiente così unico. A livello narrativo, personalmente non ha funzionato. Ho trovato le trame principali e secondarie meno ispirate e più prevedibili, con molte esposizioni e poco sviluppo dei personaggi, che hanno finito per essere semplici trasmettitori di informazioni. Sebbene la storia personale di Sam sia quella meglio gestita, anche lì ho sentito la mancanza di più umanità e conflitto.Per me, Death Stranding 2 è un buon gioco, ma non è un buon Death Stranding. Qualcosa di simile a quello che mi è successo con The Phantom Pain. Ed è per questo che lo ritengo un titolo consigliato con tutte le sfumature che ho cercato di chiarire. Dal punto di vista del gameplay, è ancora un’esperienza molto divertente e incredibilmente spettacolare. Può sembrare meno speciale dell’originale, che costruiva un intero mondo, un’intera mitologia così diversa da quella che conoscevamo, costruendo al contempo una storia molto umana sul valore del legame. Forse è che, in definitiva, e in questo gioco, preferisco le corde ai bastoni. Insomma, Death Stranding 2 è un buon videogioco, addirittura raccomandabile, ma per me non è un buon Death Stranding, ed è questo che mi fa più male. E, sebbene celebri l’autorialità e il valore di Kojima e come gioco mi sia piaciuto, nella narrazione, che per me è sempre dove l’autore ha eccelso, ho trovato difficile connettermi con esso come ho fatto con il primo. Acquista Death Stranding Più conservativo di quanto sembri nella struttura, ma con una mappa molto più varia e impressionante dell’originale. Il gioco è più incentrato sull’azione e sulla furtività, anche se queste meccaniche non si sono evolute come ci si aspettava. Visivamente è spettacolare, sia nel suo mondo aperto che nei personaggi principali. La storia è meno ispirata, più prevedibile e a volte eccessivamente espositiva. Riesce comunque a rendere divertente una cosa semplice come la consegna dei pacchi. Giocatori: 1 Lingua: inglese e spagnolo Durata: 30-35 ore Vedere i requisiti di sistema