HomeNotizieBlue Eye Samurai: perché la miniserie Netflix di animazione è un successo?

Blue Eye Samurai: perché la miniserie Netflix di animazione è un successo?

Uno dei recenti prodotti distribuiti sulla piattaforma di streaming di Netflix e in grado di ottenere successo è Blue Eye Samurai, una miniserie di animazione che è stata apprezzata sia da parte del pubblico che della critica, conquistando delle valutazioni molto alte e, soprattutto, sapendo coniugare aspetti stilistici che potrebbero apparire molto lontani ma che – all’interno della serie – sono stati perfettamente calibrati fino ad equilibrio pressoché perfetto; Blue Eye Samurai è una serie che, nei suoi 383 minuti totali, ha regalato grandissima qualità e divertimento.

Trattasi di un aspetto tutt’altro che scontato, considerando la volontà di numerosi utenti di cercare delle piattaforme che sappiano coniugare entrambi questi aspetti, come quella di Gioco Digitale Casinò. Per Blue Eye Samurai, insomma, il dovere di portare a termine la serie in questione è stato perfettamente unito al piacere della visione: ma per quale motivo c’è stato un così tanto grande successo?

La qualità dell’animazione

Un primo fattore analitico che permette di comprendere il perché del grande successo di Blue Eye Samurai riguarda la qualità della sua animazione; non si tratta di un presupposto banale – del resto, si parla pur sempre di un anime posto in forma di miniserie -, considerando che la produzione non è orientale e che la piattaforma di streaming che ha deciso di accogliere tale tale prodotto è Netflix. Se l’animazione orientale ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni, da un lato con lo Studio Ghibli e con la sua gestione degli animatori, dall’altro grazie ad autori complessi come Satoshi Kon, che ha regalato dei veri e propri capolavori come Paprika e Perfect Blue, non si può dire lo stesso dell’animazione occidentale che spesso ha risentito di alcune difficoltà soprattutto nella gestione dei team creativi.

Rispetto al passato, con una vasta gamma di possibilità tecniche ed economiche molto più elevate, si osserva quasi un regredire della qualità di animare un prodotto, ma con Blue Eye Samurai la tendenza è assolutamente opposta: la serie è straordinaria per i suoi disegni, per le sue sequenze d’azione e per la capacità di realizzare quei tratti androgini che interessano il personaggio del(la) protagonista.

Un racconto di vendetta molto ben condotto

La qualità fondamentale di Blue Eye Samurai, accanto all’aspetto estetico, interessa la narrazione del prodotto. Parlare di samurai, nello stesso mondo cinematografico in cui sono esistiti registi come Kurosawa e Ozu, non è certamente semplice, soprattutto se si vuole dire qualcosa in più di originale: l’etica samurai secondo il codice bushido, intrisa di valori, di salvaguardia dell’ambiente sociale in cui si vive, etica profonda e senso della dignità e della vergogna sono temi che vengono totalmente sovvertiti in Blue Eye Samurai.

La serie in questione è in grado di presentare un racconto samurai in salsa occidentale, allontanandosi da quella concezione del prodotto tipica del Sol Levante e presentando una protagonista che decide di vendicarsi per una vita complessa subita fin dalla nascita: si parla allora di impurità, di esseri umani come metallo da forgiare, di scontro tra condizioni sociali differenti e tanto altro. La serie presenta una varietà tematica incredibile, che garantisce allo spettatore un’immedesimazione totale e senza il filtro di un racconto che vuole impartire delle lezioni.

L’importanza dell’intrattenimento

Sembra essere quasi un presupposto di cui ci si è del tutto dimenticati, ma l’intrattenimento è ancora un fattore: riuscire a tenere lo spettatore incollato allo schermo con un qualcosa di anticonvenzionale è una grande qualità che porta Blue Eye Samurai a essere tutt’altro che banale, soprattutto data la materia del suo racconto, che non è esattamente accessibile per tutti. Insomma, quello dell’intrattenimento è un grande pregio per una serie che scorre in maniera sana, senza mai annoiare.

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